Il 6 giugno ricorre l’anniversario della nascita di Gino Rossi (Venezia 1884). Alcuni anni or sono è stato pubblicato un saggio sull’artista a cura di Luigi Urettini dal titolo “L’ultima battaglia di Gino Rossi”.


Gino Rossi in una foto del 1910 ca e in una degli anni ’30 presso il manicomio di Treviso.
Mi sono chiesto quale possa essere stata l’ultima battaglia dell’artista ben sapendo che la sua vita di 63 anni gli è stata sottratta per un terzo: gli ultimi ventuno anni li ha trascorsi in manicomio.
Nel 1921 Antonio Gramsci nel quotidiano Ordine Nuovo, accomuna il nome di Gino Rossi a quello di Felice Casorati, segnalandoli fra i pochi pittori italiani realmente originali. I due pittori si erano conosciuti a Venezia all’esposizione giovanile d’arte di Ca’ Pesaro in tempi migliori e tra loro era nata una solida amicizia derivante dalla reciproca stima e Casorati aveva comperato un’opera dell’amico “Il Bevitore”. L’unica opera venduta da Rossi se escludiamo quelle commercializzate da Barbantini, critico d’arte e organizzatore dal 1908 delle mostre di Ca’ Pesaro.

Dico anni migliori poiché Rossi nel 1921 aveva combattuto e perso ogni sua battaglia.



Si trovava a Ciano, sul Montello, dove era giunto nel 1914 dopo anni convulsi tra partecipazione a mostre e tante idee innovative con gli amici di Ca’ Pesaro, tra i quali Arturo Martini, ma in profonde ristrettezze economiche. Lo consolava la sua nuova compagna Giovanna Bieletto. La moglie Bice Levi Minzi lo aveva abbandonato alla fine del 1912 quando era ritornato dall’esposizione parigina del Salon D’Automne.


Gino Rossi – ritratto della moglie Bice Levi Minzi (olio su tela 35,5 x 25,5, 1907) – Tre donne danzanti (acquerello su carta 21,7 x 36,5, 1910 ca). Le opere risentono dell’infuenza di Gauguin e di Matisse.
Nel 1915 scriveva all’amico Nino Barbantini:
“…Non ti ho scritto di venire qui perché per quanto cara mi sia la tua presenza e di sprone e di conforto in questi momenti, non voglio darti lo spettacolo della mia miseria. Ti parlo sinceramente e senza fronzoli: qui non ho una stufa per scaldarmi, non ho vestiti, non ho denaro per comprarmi qualche bel libro del quale sento tante volte il bisogno; ho la soddisfazione di vivere in un paese magnifico, ma questa soddisfazione la pago caramente…”
Poi arriva la Grande Guerra e Rossi viene spedito sul Carso. Dopo la rotta di Caporetto viene fatto prigioniero e trasferito in Germania a Restatt. Anche questi sono tempi di fame con la F maiuscola.
Quando viene congedato raggiunge la madre e Giovanna a L’Aquila dove erano giunte profughe ma la casa di Ciano è completamente distrutta. Da Noventa Padovana dove i tre avevano trovato alloggio si reca per l’ultima volta a Parigi dove approfondisce la lezione di Cezanne e il cubismo di Picasso e Braque. La sua mente corre e lui rincorre quel successo che non arriva nonostante la sua frenetica attività e le sue partecipazioni a numerose rassegne di artisti. Alla grandiosa Mostra di Ca’ Pesaro del 1919, la prima dopo la guerra, si ritrova con vecchie conoscenze come Teodoro Wolf Ferrari. Sarà presente anche all’esposizione nazionale di belle arti a Torino, su invito dell’amico Casorati.


Teodoro Wolf Ferrari – Le Grave di Ciano e foto delle Grave dalle pendici del Montello (gentile concessione di Marina Sernaglia)
L’anno dopo chiede di essere ammesso alla Biennale di Venezia ma viene ignorato. Si trova sempre a Noventa. Da qui è facile raggiungere Padova e frequentare Dario De Tuoni, un giovane brillante scrittore triestino conoscitore dell’espressionismo e del movimento Dada. Grazie a De Tuoni scopre la rivista fondata da Le Corbusier “Esprit Nouveau” di cui farà proprie le idee innovative.
Il suo spirito indomito lo porta ad esporre a Padova, a Treviso e a Milano, dove la critica si rivela a lui ostile.
Amareggiato e squattrinato trova nuovamente alloggio a Ciano in casa Buogo dapprima e poi sul Montello in casa Marsura.



Scrive ancora a Barbantini che, di tanto in tanto, gli invia del denaro: “Si direbbe che ognuno goda a sapermi in queste angustie – pare che io debba scontare come colpa imperdonabile vent’anni di lavoro e di studio…Sono stato inutile a me stesso, è vero, ma non agli altri”.
Nonostante queste traversie a luglio del 1922 sente di poter scrivere all’amico De Tuoni una lettera dalla quale si percepisce come il paesaggio, il territorio che si presenta ai suoi occhi sia l’espressione di pace e libertà:
“ Caro De Tuoni, non hai mai sentito nominare Ciano? Possibile che un Professore arrivi ad ignorare uno dei paesi più belli del mondo? Guarda un po’! Eppure è proprio così.
Ciano, caro Dario, è sulle rive del Piave – ma io, invece, sto su, ben in alto, in cima al Montello – e qui la sera e la mattina mi godo il panorama della Libertà sconfinata. Pensa: sconfinata!… (La grande ansa che il Piave forma all’altezza di Ciano, le Grave. Lo stesso panorama si offre ancor oggi ai nostri occhi…).
Potrei qui fare pittura in camicia e anche …senza. Non ci sono villeggianti – non ci sono che i miei due cani; qualche contadino che passa ma raramente…Sono diventato l’uomo della natura, l’uomo del bosco, un quasi vegetariano, non conosco più vino né liquori e sono sulla strada di rinunciare alla fedele…Macedonia! (sigaretta)
Non vedo giornali. Non so più di lotte tra fascisti e comunisti, non leggo più le critiche di Ojetti e Damerini. Si acquista salute e intelligenza…”



Gino Rossi – Donna che danza (olio su cartone riportato su tela 99 x 33.5 cm) e Paese sul Montello (Ciano?) (olio su cartone 46,5 x 55 cm) – Foto di uno escavatore sul Piave (gentile concessione di Marina Sernaglia)
Le vicende poi precipitarono e sono ben note. Gino Rossi soccombe ad un destino amaro e cede a chi lo vuole escludere dalla società ma oggi siamo consapevoli del suo valore artistico e dell’amore per un luogo “Le Grave di Ciano” che hanno significato per lui la rappresentazione della libertà dagli affanni, dalla povertà, dall’abbandono degli amici, ma non dall’arte che ha cercato di interpretare e di anticipare rispetto ai suoi contemporanei.



Gino Rossi – Case in collina (olio su cartone 40 x 37 cm, 1923), Composizione con figure e girasoli (pastello su carta 23,5 x 30,5, 1923) e natura morta con pipa (olio su cartone 56 x 74 cm, 1922). Si noti il beffardo “Sei Rossi”, ingenua firma dell’artista.
Torniamo alle Grave di Ciano. La paventata costruzione delle casse di espansione avrebbe come effetto la distruzione di questo luogo che abbiamo imparato a conoscere in questi ultimi tempi. Ci porterebbe all’amara considerazione del dopo: “si conosce il bene quando si è perduto”.
Non è così, noi lo conosciamo ora; le Grave ci parlano nei silenzi invernali, ci sorridono nelle primavere ricche di flora, ci supplicano talvolta nei flussi dei canali intrecciati.
Non permettiamo che tanta bellezza scompaia, combattiamo l’ultima battaglia. Perdere ora sarebbe come essere in parte privati della nostra libertà.


La bellezza delle Grave di Ciano negli scatti dei fotografi Giancarlo Silveri e Guido Andolfato
a cura di Tiziano Biasi
In copertina:
Gino Rossi, Paese sul Montello (Ciano)
l’incompiutezza dello sfondo evoca il fascino dell’infinito
Bibliografia:
Luigi Urettini
L’ultima battaglia di Gino Rossi
Terre d’Este, rivista di storia e cultura – anno XX n. 39 gennaio-giugno 2010
Flavia Scotton e Nico Stringa (a cura di) – Gino Rossi Lettere e scritti dispersi
Canova Edizioni – 2020
Giuseppe Mazzotti
Colloqui con Gino Rossi
Edizioni Canova Treviso – 1974
Opere Gino Rossi
tratte dai cataloghi delle varie esposizioni
(non sempre sono databili, mancando di indicazioni
da parte dell’artista)
SE NON L’HAI ANCORA FATTO FIRMA LA PETIZIONE PER LA SALVAGUARDIA DELLE GRAVE DI CIANO
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