Le Grave di Ciano nella Preistoria

Al di là dello specifico interesse naturalistico, che fa delle Grave del Piave di Ciano, un ambiente unico e di interesse europeo vi sono altri elementi che fanno di questa zona un luogo di totale rispetto per il valore archeologico, storico ed antropologico.

Non si può negare il fatto che le Grave di Ciano, comprese tra il ponte di Vidor e le prime anse che lambiscono i declivi di Colfosco, nascondano e proteggano reperti di inestimabile valore, parte dei quali si trovano conservati nel Museo Civico di Crocetta del Montello.

Villa Ancilotto, Crocetta del Montello – al secondo piano ospita il Museo Civico “La Terra e l’Uomo”

Il movimento delle ghiaie a seguito di fortuite piene riporta ogni tanto alla luce vestigia dell’antica età del bronzo. La costruzione di casse di espansione in questo luogo seppellirebbe definitivamente il patrimonio storico-archeologico, che peraltro appartiene allo stato italiano, così come a tutta la collettività.

Nel greto del Piave, a partire dagli anni ’50, sono emersi manufatti in bronzo quali asce, spade e pani di fusione databili in un ambito cronologico che va dal XIV all’VIII secolo avanti Cristo.

Alcune spade di bronzo rinvenute nel greto del Piave. Le tipologie assumono i nomi dalle località di maggiori rinvenimenti in area danubiana e slava dall’Austria alla Romania

Nelle foto sopra alcuni strumenti di bronzo: asce ad alette e con innesto a cannone, pani di bronzo: il materiale proviene dalle zone del Piave tra Ciano del Montello e Colfosco di Susegana.

Siamo nella media età del Bronzo: le spade Sauerbrunn-Boiu o quelle appartenenti al gruppo Sombor-Smolenice, come le asce affini al tipo Greiner Strudel, sono la testimonianza di quelli che possiamo definire piccoli tesori dovuti in parte al naufragio di zattere che scendevano dalla regione dolomitica verso l’Adriatico. Le spade decorate a bulino con motivi monocentrici ci indicano l’importanza di questo sito che fino ad oggi ci ha generosamente restituito reperti di grande importanza.

Grande varietà di selci lavorate provenienti da siti di Crocetta del Montello

Modificare il corso del fiume con costruzioni faraoniche significherebbe annullare le possibilità di ulteriori ritrovamenti, patrimonio dello stato italiano, tanto utili per la conoscenza collettiva e il danno diventerebbe irreparabile. Inoltre sulle sponde adiacenti a Santa Mama verrebbe modificato quel paesaggio che da millenni è stato considerato punto di riferimento per le genti locali dal mesolitico ad oggi.

Il Buoro di Ciano con la sua sorgente d’acqua, ha attratto le popolazioni Castelnoviane che tra gli otto e i dieci mila anni fa si sono stanziate sul terrazzamento adiacente. Reperti unici nel loro essere e oggi esposti al Museo di Crocetta ci raccontano una storia millenaria di genti dedite alla pesca e ai trasporti fluviali.

Reperti litici di Cultura Castelnoviana (VI-V millennio a.C.) provenienti dal terrazzamento di Santa Mama (tra Piave e Montello)

Il complesso Mesolitico di Santa Mama ha restituito centinaia di manufatti e una buona politica di preservazione dei luoghi indurrebbe la crescita di un turismo culturale che per certi versi potrebbe diventare unico nel suo aspetto.

Il Buoro di Ciano, come già detto, oltre ad attrarre  le popolazioni preistoriche è sempre stato un punto di riferimento per le popolazioni locali. È un sito che per la sua ricchezza d’acqua ha suggerito alla fantasia popolare l’immagine di luogo sacro, frequentato da ninfe o fate, e tutto ciò probabilmente fin dai primi insediamenti umani, quando magia e religione si fondevano una nell’altra. L’acqua e la caverna sono due elementi inscindibili tra loro, legati  ai culti ancestrali della fertilità della Terra.

Il nome di questa cavità ipogea ci riporta all’epoca romana quando Ciane, la ninfa dell’acqua veniva probabilmente considerata una fata delle grotte montelliane che si aprivano verso il Piave. Ciane, personaggio leggendario, è quella ninfa delle fonti che potrebbe essere all’origine del nome di Ciano.

La ninfa nella mitologia classica cercò di impedire a Plutone, dio degli inferi, di rapire Proserpina, e fu proprio questi che, per vendicarsi, la trasformò in una fonte. Le origini di questa leggenda potrebbero trovare conferma nei ritrovamenti di vestigia preistoriche e protostoriche rinvenute nel terrazzamento alluvionale immediatamente sovrastante.

Sempre in relazione ai culti della Terra e della Fertilità , nel medioevo la cavità del Buoro di Ciano deve aver avuto un ruolo estremamente importante, tanto che nelle sue adiacenze nacque un luogo sacro cristiano probabilmente dedicato a San Mamete di Cesarea indicato come San Mamas ed oggi identificabile nella chiesetta di Santa Mama. San Mamete è uno dei santi più popolari dell’Oriente bizantino e il suo culto  giunse nella regione veneta nei primi secoli della diffusione del cristianesimo. Quando il culto di Mitra, legato alle grotte e alle cavità naturali, venne lentamente sostituito con quello di Gesù Cristo o del Buon Pastore. Pastore era San Mamete nato nel 259 d.C. in Cappadocia. Dopo la sua morte nel 275 fu santificato e divenne patrono delle balie, in quanto da infante veniva nutrito con il latte degli animali. Si racconta che dopo la morte della madre, condusse una vita da pastore continuando a nutrirsi del latte delle fiere da lui stesso addomesticate. È sempre stato venerato dalle puerpere che lo invocavano per avere latte a sufficienza.

Nelle foto; la chiesetta di Santa Mama, un’immagine del Santo e una delle numerose raffigurazione di Mitra. Il Mitraismo (culto religioso persiano) dilagò a Roma con il ritorno delle legioni dall’Oriente nel I secolo a.C. Tarde sopravvivenze del culto mitriaco si possono trovare fino al V secolo in alcuni luoghi delle Alpi e nelle regioni orientali. La religione cristiana avversò il mitraismo nel quale oggi si ravvisano analogie con lo stesso cristianesimo. Ciò fa supporre che ogni civiltà si sovrappone ad altra esistente conservandone delle tracce. https://www.romanoimpero.com/2009/10/il-culto-di-mitra.html

La grotta del Buoro mantiene viva tutt’oggi quella forma spontanea di sincretismo che in qualche modo risulta legata agli antichi culti relazionati con le cavità ipogee, probabilmente dal Mesolitico fino all’editto di Costantino e la lenta diffusione del cristianesimo.

A livello popolare cambiano le immagini ma non i valori che esse rappresentano: le ninfe sostituite da Mitra, questi da San Mamete, e a sua volta dalla vergine Maria messa a baluardo difensivo lungo tutta la fascia prealpina contro l’introduzione del protestantesimo. Il nome della chiesa, dall’originario Mamas, Mamete (Mamerto?), è stato declinato al femminile in Santa Mama, con riferimento alla Vergine Maria, come appare dalla lunetta della facciata, raffigurante la Madonna col Bambino in mezzo alla natura popolata di animali.

Gli anziani di Ciano raccontano che un tempo vivevano intorno alla fonte tre contadini malvagi che volevano deturpare l’acqua affinché nessuno potesse farne uso. Un giorno però apparve loro una figura femminile, nell’immaginario collettivo la Madonna, e consigliò a quei personaggi di desistere dal loro intento. Si racconta anche che dopo quell’evento l’acqua da torbida divenne limpida e che quella signora con un suo gesto trasformò i tre malvagi in animali, probabilmente in lupi. Fatto che coincide con la presenza del  “Capitel dei Lovi” sorto nella piana delle Grave, non lontano dalla grotta, adiacente alla chiesa di Santa Mama e vicino al porto degli zattieri, quando il Piave costituiva il fulcro vitale della vita economica di quell’epoca.

Due immagini del “Capitel dei lovi”. A sinistra uno scatto tratto da “Vivere il Montello” del 1984, a destra un’istantanea dal cortometraggio di IrideVideo del 2010.

In relazione all’apparizione della Madonna si racconta che da quella volta l’acqua del Buoro di Ciano si sia arricchita di mirabili virtù e per secoli le puerpere sono accorse a questa fonte per migliorare la qualità e quantità del loro latte. Ancora negli anni sessanta del secolo scorso arrivavano piccole comitive di fedeli dalle vicine province di Padova e Venezia. Solo dopo gli anni settanta, con il calo del flusso della sorgente, questa tradizione scomparve e la consuetudine divenne storia ed oggi vive solo nella tradizione orale.

Il fiume nel suo lento scorrere tra le ghiaie sapientemente depositate dalle forze della natura, conserva la storia e pacatamente la trasforma in mito. È importante riscoprire i luoghi, depositari della nostra storia, e non cancellarli per scelte irrazionali o peggio ancora per fattori speculativi dettati dall’uso indiscriminato del cemento che, negli ultimi decenni, ha mosso masse di capitali considerevoli a discapito della salvaguardia delle risorse collettive. L’arricchimento di pochi  non può compromettere la vita e la pace interiore di comunità intere che riconoscono nel valore della storia la propria identità.

Antonio Paolillo

Immagine di copertina: ricostruzione di un villaggio dell’età del bronzo
a cura del Museo “La Terra e l’Uomo”

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