Pandemie e biodiversità

Che questa pandemia sia causata da un virus sfuggito da un laboratorio cinese o trasmesso all’uomo da qualche animale selvatico pare questione accertata (Gatti, 2021). Con certezza, si sa anche che la storia dell’uomo è sempre stata cadenzata da eventi pandemici, ma mai con frequenza tanto elevata quanto nell’ultimo secolo. Gli esperti avvertono che potrebbero arrivare crisi anche peggiori di Covid-19: si stima che in natura siano presenti un numero di virus “non conosciuti” tra 540.000 e 850.000, che potrebbero avere la capacità di infettare le persone. 

Virus sempre esistiti ma sempre in continua evoluzione. Perché ora sono ancora più temibili?

Risposte a questa domanda le possiamo trovare nel report pubblicato nel 2020 da IPBES, Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services, massima autorità scientifica su natura e biodiversità, che descrive in modo dettagliato i nessi tra declino della biodiversità e pandemie.

In particolare viene dimostrato come la pandemia in corso sia causata dall’attività umana, in primis dall’aumento smisurato degli spostamenti, dalla distruzione degli ecosistemi, dall’erosione della biodiversità e dall’intensificazione degli allevamenti.

In altre parole l’uomo va a favorire il passaggio dell’infezione dagli animali selvatici a quelli allevati – o direttamente all’uomo – spingendosi con le sue attività dentro gli ambiti naturali, dentro le foreste, dentro ogni spazio sfruttabile che dovrebbe essere spazio esclusivo della natura o di una convivenza armoniosa e non certo predatoria delle risorse come invece avviene.

In particolare, il report sostiene che negli allevamenti intensivi, gli animali, essendo allevati per caratteristiche di produzione piuttosto che per resistenza alle malattie, mancano di quel grado di diversità genetica che fornisce resistenza e resilienza alle infezioni, questi animali agiscono da veicolo preferenziale del virus tra il selvatico e l’umano.

È ancora vivo nei nostri ricordi il periodo di chiusura nei mesi di aprile-maggio del 2020. Sospesa ogni attività, la gente è stata costretta a restare in casa, al massimo entro 200 m dalla propria abitazione. Il cielo era pulito e terso come non mai e da quello che inizialmente poteva sembrare silenzio desolante, emergevano i suoni di altre attività, ben più armoniose, come il canto degli uccelli. In quel periodo, quasi onirico per noi umani, gli animali si riappropriavano del loro spazio.

Notizie di cervi avvistati in pianura verso Treviso, arrivati dal Piave, passati per il Montello e poi giù, istintivamente attratti dallo spazio finalmente libero. Questo cambio di ruolo, uomo confinato-animale liberato, porta a riflettere sull’enorme pressione che stiamo esercitando sulla natura, confinata in territori ristretti, rimpiccioliti e continuamente attaccati, erosi dal mai arrestato consumo di suolo e dal mito del fare ad ogni costo. 

Il report sopra citato afferma che “l’ultimo secolo è stato un periodo di cambiamento ecologico senza precedenti, con drastiche riduzioni degli ecosistemi naturali e della biodiversità e altrettanto drammatici aumenti di persone e animali allevati intensivamente. Il rischio di pandemie può essere notevolmente ridotto, contenendo le attività umane che causano la perdita di biodiversità, aumentando il livello di conservazione della natura, allargando l’estensione delle aree protette esistenti, creandone delle nuove, riducendo lo sfruttamento insostenibile delle regioni del pianeta ad alto grado di biodiversità”.

Attenzione che non si parla solo di Foresta Amazzonica o di altri ecosistemi apparentemente lontani da noi. Si parla di tutta la biodiversità e di tutti gli ecosistemi, ad ogni scala dimensionale e in ogni luogo della Terra, incluso il Piave e il suo unicum ecosistemico dato dalle Grave di Ciano, che rappresentano l’unico avamposto del Veneto di ampie praterie steppiche (magredi), uno degli habitat a più elevata biodiversità in termini di ricchezza floristica.  

Non è polemica ma semplice lettura della realtà se si sostiene che la direzione intrapresa non è quella indicata dalla scienza: da mesi si sente parlare solo del tentativo di contenere e controllare la malattia puntando su vaccini e terapie, mentre il tema della biodiversità è pressoché ignorato. In Veneto, prima regione italiana in termini di consumo del suolo, addirittura si parla da mesi di tamponi, vaccini e di grandi opere, come le Casse sulle Grave di Ciano, come se la tutela della biodiversità fosse argomento avulso da ogni strategia di prevenzione, strategia che la Scienza indica come strada obbligata per sfuggire all’era delle pandemie.

Le Grave di Ciano rappresentano uno dei pochi ambiti ancora dominati dai processi naturali, un luogo dove l’uomo dovrebbe entrare in punta di piedi, anche in rispetto delle tante anime dei soldati caduti durante il conflitto della prima guerra mondiale.

Il rischio idraulico va certamente gestito, ma secondo nuovi paradigmi, volti a optare per soluzioni diffuse che mirino a preservare la biodiversità e a dare spazio al fiume anche sacrificando territori produttivi e non assoggettandosi agli arroganti e miopi schemi di una pretesa “dittatura idraulica”.

La biodiversità non è solo poesia e bellezza, è fonte di servizi multipli, è soprattutto resilienza, capace di smorzare gli effetti negativi delle attività umane e di diminuire rischi come quello pandemico, ben più pericoloso, subdolo e costoso del rischio idraulico. Questo vale soprattutto per vasti ambiti naturali come le Grave di Ciano, la cui collocazione in un contesto fortemente antropizzato quale la pianura, diventa elemento di mitigazione importantissimo e imprescindibile per il bene di tutti.

Katia Zanatta

Foto di copertina di Ph. Sabrina Venuti

Foto Gallery di Katia Zanatta, Ph. Sabrina Venuti, Ph. Giancarlo Silveri, Ph. Michele Zavarise, Ph. Guido Andolfato

Bibliografia/sitografia:

Fabrizio Gatti, 2021. L’infinito errore. La storia segreta di una pandemia che si doveva evitare. Ed. La nave di Teseo.

https://www.snpambiente.it/2020/11/09/pandemia-e-biodiversita-il-rapporto-ipbes/

https://ilbolive.unipd.it/it/news/pandemie-declino-biodiversita

https://ipbes.net/pandemics

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