Lo scorso 4 maggio, quindi prima dei fatti accaduti in Emilia Romagna, abbiamo avuto occasione di incontrare sulle Grave di Ciano per una breve chiacchierata l’Ing. Andrea Marion, docente di idraulica all’Università di Padova, per capire con lui che cosa vuol dire oggi occuparsi di questa materia.
Prendendo spunto da quanto esposto durante la conferenza “La sfida del Piave“, da lui tenuta e organizzata dall’Amministrazione comunale di Crocetta del Montello, abbiamo cercato di riflettere e sulle sfide che pone oggi la gestione dei fiumi.
Riportiamo di seguito il dialogo tra il nostro intervistatore, che per l’occasione è stato Tiziano Biasi e il prof. Marion.
T.B. Sappiamo che il Piave è esondato centinaia e centinaia di volte e pare di capire che ultimamente ci sia una preoccupazione nel prevenire quello che potrebbe accadere. Una volta forse si accettava quello che capitava e si diceva “era destino”, era qualcosa di connaturato con la natura stessa che doveva in qualche modo trovare i suoi sbocchi. Nella serata di cui sopra, si è parlato di ingegneria idraulica e a tal proposito come prima domanda chiediamo: Da quella che noi consideriamo la grande alluvione del 1966 fino ai giorni nostri, è cambiato qualcosa nell’ingegneria idraulica?
A.M. È una domanda interessante e anche complessa a cui rispondere! Dalla premessa, pensavo mi chiedesse se sia cambiato il territorio. È indubbio che il territorio sia cambiato, che siano cambiate le condizioni e anche gli effetti, la vulnerabilità, intesa come potenzialità dei danni e delle interferenze che ci possono essere nel gestire, in questo momento, gli effetti che può avere una piena come quella del ’66. Questo è un dato oggettivo che può essere in qualche misura tenuto presente con i metodi attuali valutando gli sviluppi urbanistici del territorio lungo il corso del fiume. Lei però mi sta chiedendo se sia cambiata l’ingegneria idraulica e questa è una domanda estremamente interessante a cui tengo molto, tra l’altro perché l’ingegneria idraulica ha una lunga tradizione, è chiaramente una materia millenaria.
Lo sappiamo tutti, l’uomo si è confrontato con il controllo delle acque dalle prime civiltà che sono nate lungo le acque della Mesopotamia, che ha creato il territorio tra due fiumi ed oltre. Per non prenderla da troppo lontano devo dire che riferendosi ai tempi presenti io stesso mi ritrovo essere stato testimone di grandi trasformazioni nell’approccio all’ingegneria idraulica, che nascono da quella che io ritengo essere la grande rivoluzione avvenuta tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo secolo, una rivoluzione non dichiarata, un po’ sotterranea e mai evidentissima della quale io mi sono trovato un po’ a essere protagonista da studente proprio perché mi sono ritrovato negli Stati Uniti a studiare in un momento nel quale nascevano i primi programmi che cambiavano l’approccio, e mi riferisco in particolare all’avvento della questione ambientale. Questione ambientale che ha posto moltissime discipline di fronte al fatto di non bastare a se stesse, cioè di fronte al fatto di aver bisogno, rispetto ai problemi che la società poneva, di non poter più rimanere compartimentate dentro la specificità di settore, la settorialità che prima le caratterizzava.
Io sono cresciuto da studente in un mondo in cui i dipartimenti, ancora adesso in parte ma una volta ancora di più, i dipartimenti e gli esperti anche a livello accademico erano completamente distinti e separati. La comunicazione era scarsa rispetto a quello che avviene ora. A volte faccio riferimento un po’ a una Babele della scienza nel senso che la scienza era arrivata ad essere molto approfondita, soprattutto dopo lo sviluppo storico della rivoluzione scientifica che avviene 4-500 anni fa prima con l’empirismo e poi col razionalismo. Insomma, anche filosoficamente parte una storia della scienza che si sviluppa prepotentemente e che però ha la caratteristica di rimanere molto settoriale per secoli.
Negli ultimi anni invece, in questa Babele di linguaggi che difficilmente riuscivano a comunicare tra di loro, trovandomi al tavolo con un biologo o con un chimico avevo difficoltà anche a trovare la congiunzione dei termini che volessero dire magari la stessa cosa ma con un linguaggio che era semanticamente diverso, beh abbiamo dovuto fare questo sforzo. Io l’ho capito da studente negli Stati Uniti nei programmi in cui mi sono ritrovato un po’ anche casualmente, un po’ per mia scelta ma anche un po’ senza saperlo. Mi sono ritrovato ad affrontare subito un approccio interdisciplinare per il quale, per farvi un esempio, mi sono ritrovato a fare un master in Scienze Ambientali nel dipartimento nel quale a fianco all’ufficio del mio professore di idraulica c’era l’ufficio di una famosa microbiologa con competenze che non avrebbero mai dialogato prima e che invece in quel momento negli Stati Uniti cominciavano ad integrarsi.
T. B. quindi una specie di coalizione di tutte le scienze tendenti a risolvere un problema?
A.M. Esatto! Ci si è accorti con la questione ambientale che non si poteva più ragionare per compartimenti stagni ma si doveva creare anche un linguaggio comune. Guardate che questa è un’operazione che è ancora in corso. Ci vuole una generazione, secondo me, perché avvenga questa transizione. Io sono figlio insieme ai miei colleghi di un tempo nel quale questo linguaggio non si integrava ancora. Stiamo facendo uno sforzo notevole per essere noi i primi a farlo ma soprattutto ci sforziamo di creare una nuova figura di giovani ingegneri e scienziati, anche attraverso dei progetti dedicati come quelli che stiamo attualmente portando avanti anche a Padova, di cui mi occupo anche personalmente, figure nuove capaci di avere quantomeno il linguaggio comune di queste discipline ed è una rivoluzione da questo punto di vista.
Devo dire che anche il rapporto del territorio con l’ambiente e in particolare con l’ambiente fluviale di cui stiamo parlando, per calarci un po’ nella vostra questione, si sta trasformando. Era una materia che per anni e per tutto il secolo scorso è rimasta materia da ingegneri idraulici ma che non lo è più, che non lo è più e su questo io vedo uno degli snodi fondamentali anche della discussione attuale.
La mia sensazione, almeno in quello che ho potuto vedere o sapere dalla discussione che c’è stata, che non mi ha visto protagonista perché Io non sono stato coinvolto direttamente nei tavoli e negli studi e questo mi dà la possibilità di guardare con l’occhio magari esperto ma arrivato a posteriori, beh devo dire che l’impressione è che si sia approcciato il problema in modo molto settoriale. Ho visto convegni, ho visto anche momenti nei quali l’Interdisciplinarietà non era molto spinta: c’erano molti ingegneri idraulici che parlavano della cosa.
Il problema è stato portato avanti molto settorialmente. Io credo che questo non sia più un approccio adeguato ai tempi, credo che non lo sia. Non che i risultati poi cambino necessariamente, semplicemente credo che si debba aprire a molte altre competenze e mi pare che i cittadini che si stanno muovendo stiano facendo uno sforzo per fare questo. Ho visto che ci sono state serate organizzate con Biologi e con competenze diverse, che si stanno muovendo competenze di tipo geografico, di tipo sull’impatto ambientale, sull’ecologia, sulla biologia. Ecco io credo che sia il modo giusto, Mi auguro che anche chi deve prendere le decisioni a maggior ragione si avvalga di questa rete e possa creare la sintesi.
T.B. Una cosa che abbiamo notato anche con un certo stupore, certamente non siamo addetti ai lavori, ma in quella serata tenuta sempre presso il municipio di Crocetta, lei ha subito parlato dell’acqua che sì è importante, ma i sedimenti, quelli ancora stentiamo a capire come si comporteranno in caso di piene, di magre, di scorrere dell’acqua. Questa affermazione è stata una novità in un certo senso, per noi: ce lo vuole un po’ spiegare? E cosa potrebbe succedere in questo luogo nel caso in cui venisse veramente realizzato un grande invaso? Che detto fra noi generalmente un invaso si costruisce a latere di un fiume, non lo si costruisce dentro al fiume, perché le Grave di Ciano sono una parte naturale del fiume. Esso infatti, anticamente, scorreva più nella sponda destra, mentre adesso scorre di più nella sponda sinistra, per quel poco di acqua che ancora ci è dato di vedere.
A.M. La sua domanda contiene molti input. Ne prendo uno alla volta. I sedimenti: lei ha ragione, devo dire che il fatto che siate sorpresi che io introduca questo concetto dei sedimenti, importanti quanto l’acqua, dimostra proprio come ci sia molto da chiarire e molto di ancora non detto. C’è una ragione per cui la dinamica dei sedimenti è stata un po’ trascurata e il motivo principale è che è estremamente difficile e che non siamo riusciti a comprenderla per molto tempo e ancora oggi non possediamo gli strumenti per comprenderla fino in fondo. Da un lato noi abbiamo i colleghi geomorfologi e geografi che si occupano di sedimenti e osservano la realtà descrivendola con cura e dettaglio ma fanno un lavoro diverso dagli ingegneri, cioè non si spingono alla previsione di che cosa può accadere a fronte di alterazioni sistemiche proprio da opere ingegneristiche, perché estremamente difficile.
Servono dei modelli, servono delle competenze per fare previsioni che sono proprie dell’ingegneria. È l’ingegnere che deve poter prevedere, ha le competenze per prevedere (quando le abbia) gli effetti di ciò che si andrà a fare, delle alterazioni che si introducono nel territorio. La geomorfologia ci insegna a leggere la realtà, soprattutto a farci capire come la realtà, come la natura, tende a presentarsi come l’evoluzione l’ha presentata ai nostri occhi; che è probabilmente il modo, più o meno alterato da noi, nel quale i sistemi naturali tendono a svilupparsi e io ho evidenziato in quella serata come uno degli elementi caratterizzanti che ci balza agli occhi sia la diversità, l’eterogeneità, il fatto che la natura ci presenta un ambiente in cui nulla quasi si ripete pari a se stesso. Noi non troviamo tratti che siano uguali mentre le cose che fa l’uomo inevitabilmente sono tutte uguali, sono fatte per avere una regolarità. Perché? perché le hanno fatte gli ingegneri come me e gli ingegneri come me hanno sempre tentato di fare delle cose che fossero sotto controllo, di cui si potesse prevedere il comportamento e per poter prevedere il comportamento che fossero ragionevolmente regolari, adeguatamente rispondenti nel modo in cui noi siamo in grado di prevedere la risposta. Qui c’è un passaggio che è straordinario della nostra materia ed è veramente un passaggio epocale per l’ingegneria idraulica.
I sedimenti perché sono importanti? Perché la forma che noi vediamo di un fiume è dettata, se ci pensate, dalla geometria che i sedimenti determinano. Da un certo punto di vista l’acqua non può che occupare lo spazio che viene messo a disposizione da una geometria che la morfologia rende disponibile. Ora attenzione, perché dico che i sedimenti sono più importanti dell’acqua?
Forse di per sé è una frase che può generare degli equivoci. Quello che intendo dire è, per esempio, che per noi ingegneri prevedere cosa faccia l’acqua una volta che abbiamo una geometria disegnata è diventato abbastanza facile. Poter prevedere come possa cambiare invece l’involucro, la geometria, è un problema di una difficoltà straordinaria di cui mi sono occupato per molta parte della mia carriera e di cui ho provato a raccontare quella sera e sul quale ci sono ancora grandi, grandi margini di crescita per le nostre competenze. Per cui la nostra capacità, arrivando a voi, di prevedere gli interventi importanti, è limitata. È questa ammissione di incapacità o se vogliamo di ignoranza, che mi porta a dire che laddove non siamo capaci di prevedere quello che succederà forse dovremmo esitare. Ecco forse non siamo maturi, io ribadisco che non sono contrario a nulla vorrei però, e mi è sembrato di rendere l’idea, che la nostra immaturità non compromettesse la maturità che magari avranno i nostri figli. Capisce? Perché potremmo aver alterato qualcosa che loro magari nel frattempo avranno imparato, col tasso di evoluzione che ha tutta la scienza e tutta la comprensione, forse loro potrebbero essere in grado di essere più bravi di noi.
T.B. Parafrasando diciamo che l’acqua la si vede, la sentiamo anche qui in questo luogo, ma non sappiamo che cosa succede sotto l’acqua. Quindi il problema è un po’ più complicato per capire che cosa succederà, che cosa l’acqua muoverà.
A.M. Sì, soprattutto perché l’acqua muove e cambia la morfologia solo quando tendenzialmente noi non siamo nei paraggi. Lo fa quando gli eventi sono estremi perché quelli ordinari, cioè quegli eventi a cui assistiamo, quelli che si presentano a noi quando possiamo stare seduti al sole nelle giornate normali, non sono situazioni che cambino la morfologia di un fiume. Noi siamo abituati a camminare, utilizzare e vivere un fiume nei momenti in cui non sta cambiando. Infatti, a me piace pensare ai fiumi un po’ come un relitto. Secondo me è corretto pensarli come il relitto dell’ultima piena che li ha sagomati: un relitto di qualcosa che è avvenuto. È una bella immagine. “Relitto” è un termine un po’ degradante, in realtà è la natura che si mostra nella sua evoluzione però ecco, devo dire che l’idea è che il fiume, ritornandoci a distanza di qualche anno, di fatto, non sia mai lo stesso se lo lasciamo essere, se lo lasciamo esprimere.
T.B. Tornando al progetto delle casse vorremmo capire se questo qui è un progetto che si può considerare definitivo, se ci sono strumenti diversi da un’opera strutturale, diciamo che rimarrà poi fissa e avrà tutte le sue problematiche. (Vorremmo sapere) se ci sono altri strumenti per poter mettere in sicurezza, perché prima di tutto dobbiamo salvaguardare le vite umane. Sono anche di oggi notizie di allagamenti che hanno procurato dei morti e si parla allora di misure non strutturali, previsioni. Cioè, è veramente complicata questa questione, come si fa a prevedere la quantità d’acqua che scenderà?
A.M. Allora guardi questo è un tema che va trattato in modo molto delicato perché appunto quando si ha a che fare col rischio per la vita umana bisogna stare attenti a non semplificare troppo. Io direi che un aspetto fondamentale che non va trascurato sono i comportamenti delle persone. Perché noi dobbiamo distinguere quando siamo di fronte a delle morti per l’effetto di eventi estremi. Dobbiamo chiederci sempre e analizzare una per una le circostanze, per capire se siano state l’errore umano nella programmazione o nella gestione del territorio a causarle, ovvero il comportamento sbagliato di chi è rimasto vittima.
C’è un sistema di priorità sicuramente che noi dobbiamo allineare. La vita umana, nessuno ha dubbi che sia la priorità e devo dire che non so in che misura sia stata valutata la capacità delle opere non strutturali, che possiamo fare intervenire o mettere in atto, per garantirci la possibilità che le vite umane vengano salvate a prescindere dalla costruzione di casse o di altre opere invasive. Devo dire che la mia percezione, avendo parlato con colleghi stranieri, è che il problema della salvaguardia delle vite umane sia quasi sempre affidato a una grande organizzazione nelle misure non strutturali. Questa è l’evidenza, e io ho dei colleghi che seguono queste cose in altri paesi del mondo, in altri paesi europei, legata al fatto che i comportamenti possono prevenire la morte. Comportamenti come evacuazioni, spostamenti al piano di sopra, piuttosto che andare in garage, per ovvie ragioni.
T.B. C’è anche da dire che in tempi come quelli che stiamo vivendo, di forti cambiamenti climatici, ce ne accorgiamo anche noi, in questi luoghi, che non abbiamo più le piogge regolari di un tempo; abbiamo dei grandi acquazzoni e quindi, anche rispetto a un fiume, come si può prevedere, se è possibile prevedere, quello che succederà?
A.M. Ecco questo è un punto, secondo me, sottovalutato e che porta fraintendimento. Allora io sono certo di questo fatto, che può sorprendere: è più pericolosa da questo punto di vista la situazione che può esserci in un territorio in cui la captazione avviene su bacini piccoli, laddove si possono collocare delle celle metereologiche intense, e i tempi di risposta della piena della cella intensa sono così brevi da non poter quasi reagire. Allora lì diventa fondamentale usare quell’allerta che si ha a disposizione, che però può essere breve come lo è stato a Refrontolo o in altre situazioni.
I tempi tendono a essere molto più ristretti e quelle situazioni diventano molto più pericolose che non la grande piena dei grandi fiumi, che ha la caratteristica di formarsi per effetto di grandi perturbazioni, di scala regionale. Parliamo di 4000 km quadrati. Una perturbazione che coi mezzi attuali della climatologia, che non sono più quelli del Colonnello Bernacca che ricordo da bambino, noi vediamo crearsi da satellite, come riusciamo a vedere gli uragani formarsi al largo nell’Atlantico prima che arrivino nella Florida e si avverte con qualche giorno di anticipo l’arrivo degli uragani.
Ecco una piena del Piave come quella del ’66, può avvenire solo con degli eventi climatici di una tale consistenza di una tale misura che hanno un ampio preavviso.
T.B. Quindi in qualche maniera si può anche intervenire…
A.M. Sicuramente non si parla di ore, si parla di giorni. Anche gli strumenti che si stanno approntando in questo momento a Padova dai colleghi di un altro dipartimento che stanno mettendo a punto sistemi di allarma si parla di allerta a tre giorni. La verità è che quell’allerta funziona a tre giorni sulla risposta idraulica, ma l’evento con una certa probabilità di accadimento si può sapere molto prima. Cioè, io posso dire probabilmente sei giorni prima che ci sarà il 50% di possibilità di un evento importante. Allora ci sono cose che io posso cominciare a fare anche nel dubbio che l’evento avvenga davvero ma che sono preliminari all’ipotesi che poi si aggravi. Faccio l’esempio: io posso intervenire su una parte della popolazione, le persone anziane, le persone ricoverate eccetera con delle misure che sono limitate a poche persone. Qui parlo da cittadino però, non da ingegnere idraulico e sono cose che potremmo dire tutti. Allora da questo punto di vista io sono un po’ sorpreso nel sentire che le misure non strutturali non arrivino abbastanza avanti da poterci garantire sul fatto che si possa evitare la morte dei nostri concittadini.
Devo dire sono un po’ sorpreso, io mi aspetterei per una dinamica come quella di un fiume grande come il Piave che i tempi siano assolutamente sufficienti. Può darsi che sia un problema di costi. I costi dell’emergenza sono talmente occasionali se pensiamo all’occasionalità di queste cose, che dovrebbero entrare in un’analisi costi benefici sui quali valutare anche l’entità. Però sono conti che, io insisto su questo, sono conti che devono fare degli economisti, dei contabili capaci fare queste cose. Dare agli ingegneri idraulici il compito di studiare queste dinamiche economiche o questa dinamica tra costi benefici, tra eventi che possono accadere con cadenza cinquantennale, secondo me, è un po’ improprio perché ci sono delle cose che spettano a d altre competenze.
Però ci sono degli errori che si tendono a fare. Per esempio, io ho scoperto dopo la serata di Crocetta che c’è stata una qualche divisione sul territorio tra la sponda destra e la sponda sinistra. Si è parlato del fatto quasi che fossero in alternativa la protezione delle Grave di Ciano dalla Protezione della bellissima zona che c’è di Fontane Bianche. Lì c’è un posto bellissimo, devo dire dopo averlo osservato con cura che è straordinario. Allora da ingegnere idraulico che si occupa anche di morfologia devo dire che questa divisione non sarebbe mai dovuta avvenire, semplicemente per il motivo che i luoghi sono così vicini che io ritengo impossibile, altamente improbabile diciamo, che si possano costruire delle casse di espansione senza che inevitabilmente poi si vada ad alterare fino a distruggere, ma ad alterare profondamente che per gli ambienti naturali guardate significa distruggere, perché gli ambienti naturali sono così delicati che non si può pensare di dire: “ogni tanto viene una piena, mi riempie di sedimenti poi io scavo”; perché nel momento in cui ho portato lì la ruspa io non ho più niente di quello che c’era prima.
Allora se c’è un messaggio che vorrei mandare alla gente, tra l’altro siete miei concittadini perché io sono Trevigiano come voi, se c’è un messaggio è che questa decisione riguarda tutti e dovreste trovare sicuramente unità di intenti perché non si salvano le Fontane Bianche compromettendo le Grave e viceversa. Mi dispiace non sarà così, su questo io credo di potervi dare certezza.
Ci vorranno anni. Sono anche convinto, l’ho detto quella sera, io sono abbastanza convinto ma poi la conferma verrà da studi approfonditi che mi auguro qualcuno vorrà fare, sono abbastanza convinto che la decisione di costruire le casse di Ciano inevitabilmente possa comportare l’ineludibilità della costruzione di una traversa a Falzè. Perché la regolazione delle velocità e del trasporto dei sedimenti a valle può avvenire, una volta alterato il sistema qui, solo attraverso un controllo idraulico. E quando sono stato a Falzè e ho visto quell’ambiente immaginare la stessa fase di costruzione che da sola sarebbe insopportabile per quelle zone, si tratta a questo punto di capire quanto veramente valgano queste zone rispetto al beneficio che devono portare (le casse di espansione) e se soprattutto siano inevitabili. Perché mi sento di dire, ed è una cosa di cui mi sono convinto di recente, che l’unica vera giustificazione eticamente accettabile per la costruzione di queste opere sia la disperazione. La disperazione di riconoscere di non poter fare altro. Io però non credo che si sia arrivati all’evidenza che non ci sia proprio altro da fare.
T.B. Questa è una zona ricca di biodiversità e forse anche questo è un concetto che non è proprio così diffuso. Oggi i nostri territori vanno impoverendosi a causa delle monoculture, vanno impoverendosi anche per tante altre cose, e non pensiamo che sarà proprio la biodiversità che garantirà il futuro alle generazioni che verranno.
A.M. Non c’è dubbio, io vedendo certi ambienti non ho dubbi sul fatto che acquisteranno sempre più valore per i nostri figli. Non sono convinto che un luogo come Fontane Bianche non sia già adesso da percepire in modo non diverso da un museo, in cui ci sono opere quasi inestimabili. Io me lo vedo come un posto nel quale un domani si potrebbe arrivare a, come dire, ad ammettere solo un numero limitato di persone su prenotazione e far pagare il biglietto.
Personalmente credo che i nostri figli siano già pronti a guardare a quello che c’è rimasto dell’ambiente naturale in questi termini, così come salviamo le opere d’arte, e qui parlo da cittadino, è per questo che la questione assume un’importanza che, secondo me, va oltre le mie competenze di ingegnere idraulico.
Credo che debba essere posta su un piano che trascende un po’, che va oltre le specifiche competenze della mia professione o della mia materia. Non che la mia materia non sia fondamentale per poter dare gli strumenti di valutazione. C’è bisogno di tanta politica e di ritirarsi un po’, secondo me, come ingegneri. Io credo che i politici non possano delegare oltre un certo limite. A volte può essere, non so se sia questo il caso, ma a volte può diventare anche una via di fuga affidarsi al tecnico. Non lo so, c’è stata tanta discussione su questo anche in occasione di recenti pandemie e altre cose insomma
T.B. C’è da dire che forse oggi abbiamo dei politici che si sono improvvisati e che quindi hanno dimenticato di come si stava a tavola una volta, e sulla scia magari di un consenso vadano a prendere delle decisioni delle quali magari non sono nemmeno loro convinti.
A.M. Io ho una visione un po’ più mite, devo dire, della sua. Io credo che essere politici oggi con la complessità che dobbiamo affrontare, sia oggettivamente anche molto più difficile. Dagli stessi cittadini arrivano input, posizioni e punti di vista che sono molto più informati, variegati e molto più complessi di quella che poteva essere la risposta di un paese. Penso al paese dei miei nonni che avevano fatto la terza elementare, un dibattito sulla biodiversità non poteva essere disponibile a loro. È molto difficile prendere decisioni di questo tipo e da un certo punto di vista, devo dire che è difficile anche mettersi nei loro panni.
T.B. Ci siamo trovati qui in un bellissimo ambiente, in una giornata favolosa, in un maggio splendido che comincia a dare i bei colori e quindi potremmo considerare chiusa questa breve chiacchierata. Ringrazio molto l’Ingegner Marion, Trevigiano come noi.
A.M. Esatto. Bene, grazie a voi.
Intervista e adattamento del testo a cura di Tiziano B., Sabrina V. e Matteo M.
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