Le Grave della memoria

Le due finestre della camera dove sono nato, nella mia vecchia casa a Ciano, guardano a nord, verso la grande ansa del Piave.  Dalle robuste braccia di mia madre, è probabilmente il primo paesaggio che ho visto: allora il greto – da qua, amplissimo, si estende fino a Vidor, e tale continua per buon tratto verso levante – era una bianca distesa di ghiaie, solcata dai rami del fiume, sempre mutevoli a seconda della portata d’acqua, azzurri come il cielo che riflettevano. Tale rimase fino agli ultimi anni ’60 del secolo scorso. 

Poi, o per un sostanzioso prelievo d’acqua a monte, o per gli scavi incongrui che modificarono antichi alvei, o per altri motivi che mi sarebbe arduo considerare tecnicamente, qualcosa cambiò, e quell’immenso ghiaione “autopulente” (anche qualche tenace arbusto che si fosse azzardato a spuntare veniva, dopo un po’, spazzato via) mutò radicalmente aspetto, colonizzato da una vegetazione che si è fatta rigogliosa e fittissima, e che comprende anche spettacolari alberi d’alto fusto. 

Quello che più sorprende è la rapidità con cui tutto si è svolto, considerando che si tratta di un caso – abbastanza raro – di risposta della natura a modifiche dell’ambiente provocate dall’uomo, e non, una volta tanto, di un paesaggio defunto, devastato dall’antropizzazione.  Tant’è che molti animali – dai grandi volatili alle minuscole arvicole – ne sono stati attratti e lo hanno eletto a loro dimora: e così questo “nuovo” ambiente è diventato spontaneamente un ecosistema complesso, meritevole (ancor più di questi tempi) di accurata protezione e sorveglianza.

Scriveva una cinquantina d’anni fa l’Amico Benito Buosi, allora presidente dell’ E.P.T. di Treviso:

…Non si tratta di conservare in modo immobilistico – col rimpianto di ciò che fu e che non potrà più essere – né di sottrarre l’ambiente all’uomo. Si tratta, anzi, di assicurarglielo in modo duraturo, perché in esso rinvenga l’itinerario della sua storia e le ragioni attuali di una vita che non voglia autodistruggersi.

            

L’osservazione si riferiva alla decomposizione del paesaggio rurale, ma è assolutamente pertinente anche al caso delle “Grave”. Vivere in armonia con il territorio è, assieme, vantaggio e privilegio.         

             
“Effetti del buon governo” intitolava un suo affresco nel palazzo comunale di Siena Ambrogio Lorenzetti: estrapolando l’immagine di un tempo arcaico, ci si ponga il quesito se – e quanto – il rispetto del paesaggio ci aiuti a vivere e a crescere con buon senso e buon gusto, con l’amore che è generato dall’armonia, con l’intelligente premura di proteggere ogni nostra “piccola Patria” per quelli che verranno dopo di noi. Diceva Bepi Mazzotti – che, bontà sua, mi onorò di simpatia e stima – :

…Dobbiamo difendere  tutto il paesaggio, la campagna nostra, le spiagge del mare, i lungolago, i laghi stessi, le colline, i monti. Dobbiamo difenderlo da noi stessi, dal nostro egoismo, dalla nostra cecità, dalla nostra incomprensione, dalla insensibilità, dal cattivo gusto.

Premonizioni di intellettuale o tragica realtà?                                                  
È proprio in questi ultimi 50 – 60 anni che si è insultata la nostra “piccola Patria”.  C’è un libro – temo ormai introvabile – dello stesso Mazzotti (“Immagini della Marca Trevigiana”) fatto, appunto di fotografie, che solo i vecchi come me riescono a decodificare: in pochi anni è tutto cambiato (in peggio) e “quella” Marca Trevigiana sembra mai esistita. Naturalmente, per gli irriducibili appassionati – come me, e non chiamateci nostalgici – la memoria di questo mondo perduto è palpitante. Con un’espressione di moda, direi che è nel nostro DNA.

Paesaggio dal Montello – Morello 1995 ©

Così, quella che vidi da infante è pur sempre – e rimarrà! – l’immensa grava bianca, elemento cromatico su cui compitai moltissime rappresentazioni pittoriche, da quando ebbi coscienza di un talento fortunato che mi consentiva di esprimere – anche attraverso i colori –  immagini ed emozioni. Le bianche Grave, dunque, come elemento peculiare e distintivo del mio luogo di origine, come fu ed è ancora il bel campanile di Ciano, svettante sulla campagna ai piedi del Montello, a rassicurarmi e dirmi che là vicino c’è anche la mia amatissima casa. 

Certo, qui il discorso si amplia: la “piccola Patria” è certamente comune forma di ispirazione e di espressione di tanti artisti, spesso richiamata nelle loro opere. Non sembri irriguardoso o  presuntuoso l’accostamento ma, solo per citarne alcuni di un periodo storico particolarmente florido di ingegni per noi Veneti, penso ai Bellini, a Tiziano, a Cima, al Paolo Veronese di villa Barbaro, al fantasioso Carpaccio, o a Giorgione per quel poco che visse, al mistico Lotto, che inserivano nei teleri paesaggi delle loro terre d’origine: del resto, allo stesso Leonardo, quando ritrasse la Gioconda, piacque mettere sullo sfondo un paesaggio in cui, forse, era cresciuto. Io sono convinto che vi sia un solido legame fra l’artista e il paesaggio delle sue origini. 

Primavera a Ciano – Morello 2007 ©

Con quanta emozione ho tante volte raffigurato il “giro del Piave” che certamente vedeva Gino Rossi nella sua tribolata vita Montelliana! È rimasta, nei miei quadri, l’immagine delle Grave bianchissime, coi rigagnoli verdi-azzurri d’acqua, con lo sfondo dei monti.  C’è un acquerello di Sante Cancian che ritrae il Piave al ponte di Vidor: diventò la illustrazione di copertina di un altro meraviglioso libro di Bepi Mazzotti (Piave, Grappa, Montello) e rappresenta esaurientemente il “Piave della memoria”. 

Frontespizio pubblicazione “Piave Grappa Montello”
di Giuseppe Mazzotti – Istituto Geografico De Agostini
Novara – maggio 1938
acquerello di Sante Cancian

Questa indimenticabile ghiaia bianca compare anche in tanti miei paesaggi Montelliani: talvolta è solo un bianco segno lontano, per dare profondità alle doline dei primi piani; ma riappare protagonista in forme quasi verticali (come sembra prospettarsi da certi speroni sopra il greto) o diventa idea (o ricordo?) in altri dipinti ove la difficoltà dell’informale trova sostegno in riferimenti grafici già sperimentati.  

Il Piave – Morello 1995 ©

Dunque, è chiaro che io rimpiango le bianche ghiaie: ma una provvidenziale curiosità mi spinge ad osservare le Grave come sono adesso: sembrano i “magredi” del Tagliamento o del Cellina, come li raffigurava, con segno nitido e forte di grafico raffinato, il friulano Zigaina. Non più, dunque, rami azzurri allo scoperto, ma acque quasi nascoste nella vegetazione, boschetti, pascoli, cespugli: mi va bene tutto, anche se non ha la suggestione del primo amore (la grava bianca).

Ma, a scombussolare tutto quanto, mentre si discute se le Grave siano il posto adatto per costruire vasche di contenimento delle piene del fiume (chi dice sì, altrettanti dicono no), con la prospettiva di una specie di muraglia cinese in cemento alta 8 metri (che sarebbe la fine, estetica e funzionale, delle Grave di Ciano), da almeno un paio d’anni questo territorio promosso a Zona di protezione speciale, Zona speciale di conservazione e area Wilderness è utilizzato da elicotteri militari per esercitazioni – anche notturne – con evoluzioni o stazionamenti a quota radente, atterraggi e sorvoli a circuito. Incredibile, vero? Non è un controsenso clamoroso?  Eppure, se ci fossero state tempestive proteste, forse questa incongrua e indisponente attività sarebbe cessata.
È come se un vandalo mettesse un aereo con la scia di condensazione in un cielo del Tiepolo, e nessuno trovasse da ridire.

Valentino Morello

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In copertina Paesaggio a Ciano – Morello 1965©

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4 pensieri riguardo “Le Grave della memoria

  1. Dott. Morello, Lei riesce davvero a cogliere e comunicare il profondo legame che si instaura tra l’essere umano e un ambiente unico, di rara bellezza quale Le Grave di Ciano. L’emozione che pervade tutto il testo è palpabile, così come condivisa è l’indignazione per la mancata cura di un territorio che da sempre si innerva nell’identità collettiva,
    Grazie.

  2. L’autore dell’articolo ci ha portato per mano nel tratto di storia sua personale e collettiva relativa al fiume Piave di Ciano.
    Interessanti I riferimenti culturali,le note sui cambiamenti di questo ambiente.
    Ho colto nelle sue opere pittoriche lo sguardo bambino verso il paesaggio,sguardo che accomuna le anime.

  3. Grazie Dottor Morello, le Sue parole risuonano nello spirito di chiunque abbia avuto l’infanzia sul Fiume e lo ridestano. Grazie anche ai bellissimi Suoi quadri. Sandro De Vecchi. Belluno

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