Ripensare il nostro rapporto con la natura-mondo.

Ricercare una nuova visione della natura e dell’uomo

“Molte potenze sono tremende ma nessuna lo è più dell’uomo”

Sofocle, Antigone, Primo Stasimo, Einaudi (traduzione di M. Cacciari)

“Il tremendo di cui l’uomo è capace è di dimenticarsi del divino, del limite!”

(M. Cacciari, introduzione a Antigone, cit. )

Dimenticarsi del limite, del finito, della finitudine significa acquisire quel senso di onnipotenza che ti fa pensare di poter agire senza porti il problema di quale limite porre al tuo agire!

A quali condizioni gli uomini potranno continuare ad abitare la terra? Abbiamo preso atto che il nostro intervenire sul pianeta non può non comportare l’intervento del pianeta su di noi! È per questo che bisognerà continuare a parlare di quale o quali sono le condizioni alle quali gli uomini (e non l’Uomo!)  potranno continuare ad abitare la terra.

Oggi sappiamo che abbiamo bisogno di un nuovo rapporto: da dominatori, da indiscussi padroni onnipotenti come ci siamo sentiti per tanti secoli, dobbiamo diventare semplici servi, nel senso di essere capaci di metterci al servizio di quella difficile, complessa, relazione che ci impegna a ricercare un nuovo equilibrio nell’ecosistema di cui siamo una parte, non il tutto! Certamente non possiamo più trattare il pianeta come se fosse un nostro possedimento, una nostra proprietà, come se potessimo disporne a piacimento costruendo e distruggendo secondo il nostro interesse, secondo il nostro volere-potere.

Il nostro intervento sul mondo dev’essere più cauto, più attento alla complessità delle relazioni che sussistono tra noi e il mondo, più rispettoso dei limiti entro i quali ci è dato di esistere. Certo, trovare quell’equilibrio, oggi, è diventato più difficile perché sono aumentate la complessità delle interazioni e degli effetti da esse prodotti. Ma è proprio per questo che è necessario dotarsi di un nuovo sguardo, di una capacità di sentire l’urgenza del nuovo equilibrio tra uomo e natura- mondo come una necessità che non può non passare dal riconoscimento che un limite è stato superato.

Siamo nell’Antropocene e questo significa che possiamo vedere i segni che l’uomo ha lasciato sul pianeta, segni morfologici, climatologici e antropologici, che solo ora si mostrano con piena evidenza. E non sono segni solo e sempre positivi! Sono segni, però, che ci dicono che abbiamo una responsabilità per quello che facciamo. Abbiamo scoperto che solo ora, a distanza di secoli, siamo in grado di valutare le conseguenze del nostro agire. Questo dovrebbe insegnarci che ciò che oggi facciamo, il nostro odierno agire, potrà essere valutato solo nel lungo periodo, che avrà degli effetti sulle future generazioni.

Non possiamo più pensare di essere un corpo separato dalla natura: ci siamo Noi da una parte e dall’altra c’è la Natura. Soggetto e Oggetto. Questo modello non regge più, anche il pensiero scientifico contemporaneo l’ha ormai accertato. È come se oggi, solo oggi, noi scoprissimo la nostra co-appartenenza con la storia della terra! E’ come se scoprissimo che questa co-appartenenza implica una relazione sistemica fra noi e il pianeta e con tutto ciò che lo abita e che questa relazione è tutt’altro che uni-direzionale – da noi al pianeta, o viceversa. Si tratta di una doppia relazionalità nel rapporto uomo-mondo per cui la cura e l’attenzione per il mondo è anche una cura e un’attenzione per la specie.  

È con questa consapevolezza, con questo sapere che tracciamo un buon punto di partenza, indispensabile per poter continuare a sostare in questo mondo, prendendosene cura, restando umani, rientrando nei nostri limiti, che per troppo tempo abbiamo osato oltrepassare! Restiamo umani! Che significa riprendiamoci la capacità camaleontica di adattarci al mutato panorama che l’ecosistema ci presenta, senza eccessive demonizzazioni e visioni catastrofiste dell’evoluzione ma anche senza eccessivi slanci ‘futuristi’ e ‘predatòri’.  È questa la condizione per un nuovo umanesimo, la nuova condizione per l’umanità.

Giuseppe de Bortoli

Foto di copertina di Ph. Michele Zavarise©

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